di RENZO PARODI
«Il Moma di New York anni fa gli dedicò una retrospettiva e in Francia quattro dei suoi film fra il 2011 e il 2012 sono stati proiettati con grande successo, in particolare “Giorni Contati” ha fatto registrare il record di incassi nelle sale. L’Italia invece ha dimenticato Elio Petri. Pensi che sui giornali non è neppure uscita la notizia della retrospettiva newyorkese…». Paola Petri, la vedova del regista, parla con dignitosa compostezza dell’amara presa d’atto di una realtà evidente. A trent’anni dalla sua prematura scomparsa, il grande regista romano, e i suoi 14 film, nel Belpaese sono caduti nell’oblio. All’estero Petri è celebrato e ricordato come il precursore coraggioso del cinema di impegno civile, con titoli come“A Ciascuno il suo” del 1967, “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, premio Oscar 1971 come miglior film straniero, “La classe operaia va in paradiso”, Palma d’oro a Cannes nel 1972 ex aequo col “Caso Mattei” di Rosi, “Todo Modo” del 1976. La signora Petri è ospite sull’isola della Maddalena della “Valigia dell’attore”, rassegna dedicata, grazie all’impegno della figlia, Giovanna Gravina, e dell’Associazione Culturale Quasar, a Gian Maria Volonté che con Petri girò film memorabili come“Indagine”. La rassegna ha visto la partecipazione di Ettore Scola, Pierfrancesco Favino, Carolina Crescentini, Fabrizio Gifuni che ha ricevuto il Premio Volonté 2012, Michele Riondino e appunto della vedova del regista, ricordato con la proiezione di “Todo Modo”. Signora Petri, come spiega il silenzio che in Italia circonda la figura di suo marito? «Me lo sono chiesto per vent’anni dopo la sua morte, badando sempre a non fare la vedova Petri, cosa che mi è stata pure rimproverata. Elio era una persona difficile, politicamente non ortodossa. Era uscito dal Pci nel 1956, dopo l’invasione dell’Ungheria. “La classe operaia va in Paradiso” irritò parecchio i sindacati che lo accusarono di aver mistificato la realtà delle fabbriche. Era un falso, ma fece presa». Era documentato? «Moltissimo, aveva vissuto in una fabbrica occupata a Novara l’unica che aveva ammesso la troupe. All’epoca faceva una fatica a trovare produttori che credessero in quello che faceva. Ci riuscì con Daniele Senatore, un giovane anche lui scomparso prematuramente, che produsse “Todo Modo”, feroce satira del potere politico e della Democrazia Cristiana». La stampa come lo trattava? «I quotidiani recensivano i suoi film, li elogiavano o li facevano a pezzi. Le riviste di cinema scrivevano cose da querela. A proposito di “A ciascuno il suo”, tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia, un critico che poi si mise a fare il regista, Maurizio Ponzi, scrisse: “Speriamo di non doverci più occupare di questo cineasta di serie Z”. Purtroppo in Italia nessuno ha il coraggio di dire: “Ho sbagliato”». Il suo cinema contiene premonizioni dell’Italia contemporanea. Eppure, silenzio…
«Martin Scorsese gli ha dedicato un film-documentario che in Italia non è mai stato proiettato per problemi di diritti d’autore. “Le Monde” ha pubblicato un’intera pagina su di lui. Elio era un uomo libero e in Italia i liberi pensatori danno fastidio. In compenso lo hanno scoperto tre studenti che appaiono nel documentario “Elio Petri. Appunti su un autore”, proiettato qui alla Maddalena. Altri ragazzi gli hanno anche dedicato la tesi di laurea».