«Vincere il Premio Volonté? Un vero onore»
Parla l’attore Michele Riondino che il 26 luglio alla Maddalena riceverà il riconoscimento intitolato al maestro del cinema
di Fabio Canessa
«Un maestro, anzi il maestro». Il Premio Gian Maria Volonté 2017 va a Michele Riondino e l’attore pugliese non nasconde la felicità per un riconoscimento dal profondo significato per chi fa il suo mestiere. Sarà difficile per lui, così come è successo a chi lo ha preceduto negli anni scorsi, non emozionarsi quando riceverà da Giovanna Gravina (figlia di Volonté) la barca in rame opera di Mario Bebbu che rappresenta il premio intitolato al grandissimo interprete appassionato di vela. La cerimonia è in programma il 26 luglio alla Maddalena, durante la XIV edizione del festival “La valigia dell’attore”, organizzato dall’associazione Quasar che si svolgerà dal 25 al 30 luglio.
«Per me è il massimo, un regalo bellissimo – sottolinea Michele Riondino – perché Gian Maria Volonté è un modello assoluto per la sua idea di cinema, del lavoro dell’attore. Tra le tante cose che ci ha insegnato c’è la rappresentazione perfetta di come un attore dovrebbe nascondersi, non mostrarsi dietro la maschera che indossa. Quello che cerco di fare anche io nel mio piccolo, nascondere quello che è Michele agli occhi di tutti dietro ai personaggi che interpreto. Proprio per questo non prendo tutto, cerco di scegliere i ruoli perché ho bisogno prima di ogni cosa di capire come posso adattarmi alla maschera che devo indossare».
A proposito di ruoli. C’è qualche interpretazione di Volonté che ama particolarmente?
«Per esempio trovo indimenticabile il lavoro in “Todo modo” dove interpreta questa rielaborazione particolare, grottesca, di Aldo Moro. Ma posso citare più film e più momenti all’interno dei vari lungometraggi.
Uno dei motivi della sua grandezza sta nell’aver dato vita a caratterizzazioni che rendono bene l’idea del tratto antropologico degli italiani. Volonté faceva la sintesi assoluta dei caratteri culturali oltre che fisiognomici degli italiani. E di tutte le classi sociali. I suoi film, le sue interpretazioni sono delle lezioni per chi fa questo mestiere. Per gli attori ogni suo lavoro è davvero fonte di ispirazione infinita».
Parlando di lezioni, sarà alla Maddalena anche tutta la settimana prima del festival per tenere il Valigialab. Che lavoro intende fare con i ragazzi iscritti a questo laboratorio di recitazione?
«Farò un lavoro sul segreto. Il segreto che si cela sotto le righe del testo del personaggio che un attore deve interpretare. Ogni attore dovrebbe avere un segreto da portarsi dietro, e anche il personaggio che interpreta. Solo attraverso il mistero e la segretezza si può catturare l’attenzione dello spettatore. E per ottenerla bisogna trasmettergli del materiale sul quale farsi delle domande, degli stimoli. Il lavoro che porterò sarà incentrato su un testo di drammaturgia contemporanea, “Lo stato degli Hamblin”, e approfondirà questo discorso anche attraverso l’aiuto di altri elementi come dei quadri e dei riferimenti storici».
Ma lei quando ha capito che la sua strada era quella della recitazione, il mestiere dell’attore?
«Ho cominciato a fare i primi laboratori a 15 anni. A quell’età era più un’esperienza legata alla voglia di mettersi in gioco, di vincere la timidezza, alla curiosità di stare su un palcoscenico. Lì ho iniziato a maturare l’idea di voler fare questo lavoro, ma prima che prendesse forma ci è voluto un po’ di tempo. Ho iniziato a crederci realmente quando ho superato le selezioni all’Accademia a Roma. Una prima, vera conferma. Poi ne sono arrivate altre, con i vari lavori che ho fatto ».
Tra i più recenti “Senza lasciare traccia”, di Gianclaudio Cappai. Che ricordo ha di questa esperienza con il regista cagliaritano?
«Un’esperienza bellissima perché Gianclaudio ha un modo molto personale di fare cinema, e i registi con grande personalità mi affascinano. Ha scritto un film particolare, intimista e oltre il lavoro sul set è stato stimolante anche quello di preparazione fatto a Roma a casa sua. Mi ha dato tutti gli strumenti per esprimermi al meglio e in libertà, cosa importante per un attore».
E per ultimo è arrivato “La ragazza del mondo”, scritto dal sassarese Antonio Manca insieme al regista Marco Danieli, che ha ottenuto diversi riconoscimenti. Qual è il segreto del successo del film che sarà anche proiettato alla Maddalena?
«Credo proprio la scrittura. Antonio e Marco hanno disegnato una storia senza retorica, in modo delicato e sottile».
Oltre al cinema, e a teatro, è anche impegnato spesso in tv. Molti la conoscono e apprezzano per “Il giovane Montalbano”: che cosa le ha dato questo ruolo?
«Mi ha dato molto in chiave di notorietà, inutile nasconderlo. Ma non solo questo. Anche come esperienza lavorativa è davvero stimolante, per la possibilità di abitare a lungo un personaggio, di studiarlo nel tempo, nella serialità. Per un attore rappresenta una bellissima occasione ».