La Nuova Sardegna, Estate, 28 luglio 2013
La Maddalena, Valerio Mastandrea ha ricevuto il premio intitolato all’indimenticabile artista.
Anno d’oro per l’attore romano dopo la vittoria di due David di Donatello
di Fabio Canessa
INVIATO ALLA MADDALENA. In uno dei pannelli della mostra con i disegni di Maurizio Di Bona, visitabile negli ex magazzini Ilva a Cala Gavetta, si legge “A sua immagine e Volonté”. Se l’esposizione è dedicata a Giordano Bruno – oggi, alle 10.30, verrà proiettato il film di Giuliano Montaldo sul filosofo – quella frase sembra anche riferibile agli attori che in qualche modo si ispirano al grandissimo interprete che amava la Maddalena, padre di Giovanna Gravina che organizza il festival con l’associazione Quasar. Uno di questi è Valerio Mastandrea che ieri ha ricevuto il premio Gian Maria Volonté 2013. «Un premio importantissimo per me» sottolinea l’attore romano.
È davvero un anno d’oro per lei. Da poco ha vinto due David di Donatello e adesso arriva questo riconoscimento. Che valore ha per un attore un premio dedicato a Gian Maria Volonté?
«Straordinario perché riconosco nella figura di Gian Maria Volonté il senso più profondo di questo lavoro, senso che io non ho ancora colto. I premi sono come dei segnali, direttamente proporzionali da chi te li dà. E il fatto che arrivi da un’esperienza come le Isole del Cinema che io conosco bene, da chi promuove il cinema con tanta passione e che sia addirittura intitolato all’attore forse più appassionato e critico nei confronti di quello che faceva è per me qualcosa di veramente importante».
Quale sua interpretazione preferisce?
«Più che una prova d’attore, ripeto è il senso del mestiere che aveva, quella passione profondamente critica che metteva in ogni personaggio che affrontava. Ed è una cosa per quanto mi riguarda inarrivabile. Non ci arriverò mai e non dico nemmeno “che peccato”, è normale. Un attore forse non deve avere dei modelli, ma nei momenti di calo della passione rispetto a questo mestiere avere dei punti di riferimento come può essere Gian Maria Volonté, pensare a come faceva questo lavoro, è importante».
Durante il festival si è parlato, con la proiezione di un documentario a lui dedicato, anche di un altro attore: Tiberio Murgia. Con lui ha lavorato in “Chi nasce tondo”. Che ricordo ha di quell’esperienza?
«Una grande emozione averlo vicino, lui personaggio dell’indimenticabile “I soliti ignoti”. Se potessi mi tatuerei tutto il film addosso. Ci siamo anche molto divertiti».
Oggi (ieri, ndr) verrà proiettato “Viva la libertà” in cui recita con Toni Servillo. È più facile o difficile dividere la scena con un altro grande attore?
«No, è quasi meglio. Non perché la portata del ruolo fa sì che non ti devi accollare il film dall’inizio alla fine, ma perché il ruolo di coprotagonista al fianco di un protagonista di questa caratura arricchisce. Grazie al film, al regista, e anche a noi che avevamo una sensibilità abbastanza raccordata siamo riusciti a nutrirci uno dell’altro. Pur essendo molto diversi».
Lei, rispetto a Servillo, sembra sempre più composto nel suo modo di recitare. Dipende da lei o dal ruolo?
«Dipende ovviamente anche dal ruolo. Però ho una caratteristica, come disse una volta una persona facendomi una critica: fare personaggi minimal frustrati. È vero, lo riconosco, e mi sono quasi rotto di approcciare i personaggi in questo modo, così spesso. Però sicuramente è il terreno su cui mi muovo meglio. Ma proprio perché uno fa l’attore deve cercare di fare più cose possibili, sondare le cose che non è capace di fare».
Nel prossimo film sarà un insegnante tra gli immigrati. Cosa ci può anticipare di “La mia classe” selezionato per il festival di Venezia?
«È molto difficile parlare di questo film diretto da Daniele Gaglianone. Un’esperienza formidabile perché abbiamo lavorato con attori non professionisti, con una classe reale di stranieri, e abbiamo lavorato sperimentando varie cose. Guardatelo».
E per Venezia sono annunciate proteste degli autori se verranno membri del governo. Come si può migliorare la situazione del cinema italiano?
«Da quando ho iniziato la situazione ha iniziato a sprofondare lentamente. Ma è molto difficile parlarne. Credo però che le forme di lotta non possano essere sempre quelle, in ambito festivaliero perché uno pensa di avere maggiore visibilità. Il problema è alla radice e non è solo economico».
Torniamo, meglio, alla Valigi dell’attore. Che si porta lei dietro sul set?
«Poco. Sai che avrai i vestiti di scena tutto il giorno. Quindi giusto qualcosa per la sera».
E il bagaglio di cosa si arricchisce a ogni nuova esperienza?
«Quello dell’attore è il gioco più bello del mondo, puoi fare qualcun altro usando le tue caratteristiche. Ed è come fosse sempre carnevale, senza bisogno delle maschere».
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