La Nuova Sardegna, Estate, 29 luglio 2013
Giuliano Montaldo, protagonista alla Valigia dell’attore, racconta la sua vita da regista
di Fabio Canessa
LA MADDALENA. “La valigia dell’attore” si richiude, con un nuovo carico di ricordi frutto di giorni intensi passati tra incontri, film parole, immagini. La passione che ci mettono Giovanna Gravina, direttore artistico del festival, e tutti quelli che collaborano con lei, l’eccellenza dei laboratori sulle tecniche d’attore, l’omaggio a Gian Maria Volonté, sono alcuni degli elementi che rendono speciale la manifestazione organizzata dall’associazione Quasar e inserita nel circuito le Isole del Cinema. Si conclude con lo spettacolo di Paolo Rossi “Tutti i casini del mondo”, ultima tappa di un percorso che ha visto alternarsi come protagonisti l’attore romano Valerio Mastandrea, i registi sardi che con i loro ultimi film hanno ben figurato nei grandi festival internazionali (Salvatore Mereu, Giovanni Columbu, Sergio Naitza), ma soprattutto il grande Giuliano Montaldo che diresse Volonté in due film ovviamente proiettati alla Maddalena: “Sacco e Vanzetti” e “Giordano Bruno”.
La mattinata a Cala Gavetta dedicata all’incontro con il regista genovese è una di quelle magiche. Montaldo, 83 anni portati benissimo, racconta, si diverte e conquista il pubblico venuto ad ascoltarlo. Parla in romanesco, con l’accento veneto, imita Gassman e ripercorre alcune delle tappe principali della sua vita e della sua carriera ben riassunta nel bel documentario di Marco Spagnoli “Quattro volte vent’anni” proiettato prima dell’incontro. L’inizio come attore, l’esordio con Lizzani, l’incontro con Fellini, l’amicizia con Pontecorvo e Leone, la lunga collaborazione con Morricone, l’amore per la moglie Vera Pescarolo (anche lei presente alla Maddalena). E poi i suoi film: «Uno girato anche in Sardegna, proprio qua alla Maddalena e a Palau – racconta alla Nuova Sardegna a margine dell’incontro – Erano gli inizi degli anni Sessanta. Il titolo era “L’isola dell’angelo”, un film per il mercato televisivo americano. Non l’ho nemmeno visto io». Per l’estero, soprattutto con fortunate coproduzioni, il regista ha lavorato diverse volte. Indimenticabile per esempio la sua miniserie “Marco Polo”, esempio di prodotto televisivo di altissima qualità. «Una coproduzione Italia, Cina, Stati Uniti, Giappone, Francia – ricorda Montaldo – Ma è stato comunque molto faticoso. Abbiamo fatto il preventivo nel 1978 e girato nel 1980. In quei due anni c’è stato un boom di costi devastante e abbiamo dovuto fare i salti mortali per portare in porto l’operazione che si svolgeva in tre diversi Continenti. È raro trovare un’avventura in cui in ogni puntata si doveva cambiare abiti, attrezzature, armi, trucco, tipologie di personaggi. Dal mondo veneziano a quello arabo, poi mongolo e cinese. Abbiamo girato in zone incredibili. C’era qualcosa di magico nell’incontro con le popolazioni. Truccati, vestiti e messi davanti alla macchina da presa, non avendo nessun complesso, erano degli attori straordinari». E di attori straordinari, professionisti, Montaldo se ne intende. Nella sua lunga carriera lavora con interpreti internazionali come John Cassavetes, Edward G.Robinson e Janet Leigh, per fare solo tre esempi. E poi con Gian Maria Volonté a cui è dedicato il festival della Maddalena. «Un genio della recitazione, della creatività – sottolinea il regista – Mi ha insegnato l’importanza del silenzio. Il suo sguardo bastava, raccontava con l’espressione degli occhi. C’era qualcosa in lui di misterioso anche per me che ci ho lavorato ed ero già suo amico. Le sue trasformazioni erano incredibili». L’esempio fatto dal maestro è chiarissimo: «Durante “Giordano Bruno” giriamo una scena e nel copione quella successiva prevede abbia passato un mese in isolamento. Ovviamente dovevamo però girare il giorno dopo, non potevamo stare fermi. E lui arriva con lo stesso saio, ma rovinato, e con l’aspetto emaciato. Cos’era successo? Nessuno ha osato chiederglielo. Una notte insonne, di tormento come se fosse passato un mese». Un grande attore, un amico che Montaldo ricorda con sincera commozione: «Non era facilissimo. Se faceva un personaggio negativo era negativo di giorno, di notte, nelle pause. Con me però ha fatto due personaggi positivi, eroi sacrificati dall’intolleranza». Due film fatti insieme, “Sacco e Vanzetti” e “Giordano Bruno”, che lasciano un po’ di rammarico per essere troppo pochi: «Bisognava trovare il personaggio giusto – evidenzia il regista – e poi io ho fatto sempre molta fatica a portare avanti le mie idee, per questa mia insofferenza all’intolleranza motore del mio cinema. Inoltre lui è stato male e se n’è andato troppo presto. Comunque al di là del lavoro ci sentivamo spesso».
E nelle parole di chi l’ha conosciuto bene come Montaldo sembra di sentire davvero Gian Maria Volonté, negli occhi di sua figlia Giovanna Gravina di vederlo. È la magia della Valigia dell’attore.
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