LA VALIGIA DELL’ATTORE
«Quando ero un bandito»
Lou Castel, da “I pugni in tasca” al ruolo di Mesina per “I protagonisti”.
di Fabio Canessa
LA MADDALENA. Gli occhi sono sempre quelli. E così quando incroci il suo sguardo, anche se oggi ha 74 anni e il fisico è segnato dal tempo, lo rivedi ancora giovane come il ribelle Sandro di “I pugni in tasca” di Bellocchio, o come Francesco d’Assisi nella miniserie di Liliana Cavani, o ancora come l’americano di “Quién sabe?” di Damiamo Damiani. Film, quest’ultimo, presentato da Lou Castel ieri sera alla Maddalena per la chiusura del festival “La valigia dell’attore” che ha salutato il pubblico di questa quattordicesima edizione con il consueto omaggio a Gian Maria Volonté al quale la manifestazione è dedicata.
IO E GIAN MARIA
In quel western del 1966 (a firmare la sceneggiatura anche il sardo Franco Solinas) il protagonista era infatti il grande attore italiano, affiancato proprio da Lou Castel (e da Klaus Kinski). «Lo avevo incontrato prima in Italia ed era una persona. Arrivati ad Almeria per le riprese ho visto subito El Chuncho. Ero impressionato dalla sua trasformazione». Il ricordo di Lou Castel è l’ennesima testimonianza della capacità di Volonté di diventare il personaggio che doveva interpretare. «Avevamo sicuramente metodi diversi. Mi ricordo le prove per la scena finale: io ripetevo le mie battute normalmente e lui si arrabbiò. Prendeva molto sul serio il lavoro. Anche io, ma in modo diverso». Ma Lou Castel va oltre l’attore e si sofferma sul Volonté uomo. «Quando fui espulso dall’Italia, dimostrò grande solidarietà rifiutando di andare al festival di Cannes dove c’erano due suoi film». Era il 1972 e i film, anche premiati, erano “Il caso Mattei” di Rosi e “La classe operaia va in paradiso” di Petri.
LA MILITANZA POLITICA
L’espulsione, nel marzo di quell’anno, per la legge Rocco, non condizionò particolarmente Lou Castel. L’attore ricorda la mobilitazione di tanti esponenti del cinema e una certa delusione nello scoprire che alla fine non era un clandestino. «Ero nell’organizzazione marxista-leninista Servire il popolo che finanziavo con il mio lavoro d’attore. Non sceglievo bene i film, senza una strategia. A differenza di Volonté il cinema per me era qualcosa di secondario».
UNA NUOVA VITA IN FRANCIA
Con la fine degli anni Settanta termina anche la militanza maoista di Lou Castel. «A un certo punto, quando mi sono ritrovato a fare cose che non mi piacevano decisi di andare a vivere a Parigi». Per molti grandi registi francesi, come Philippe Garrel e Olivier Assayas, l’attore è ancora quello di un film amato che ha segnato un’epoca come “I pugni in tasca” e in qualche modo inizia la seconda vita di Lou Castel. «Quel film era come una garanzia. E quel ruolo ha sicuramente segnato la mia carriera. La Francia però mi ha permesso di liberarmi dall’attore che ha recitato quel personaggio. Godard mi ha dato la consapevolezza che potevo essere di più. Che potevo fare anche altro.Scrivere, dipingere, sperimentare». Un Lou Castel completo che si ritrova anche nel documentario “A pugni chiusi” (proiettato ieri alla Maddalena).
Un lavoro diretto da Pierpaolo De Sanctis che ha ricostruito un poliedrico ritratto dell’attore: «Rifiutavo sempre quelli che volevano fare una classica biografia – racconta Lou Castel – Mi sembrava di essere sotterrato. Pierpaolo ha capito le mie reticenze e anche se ci abbiamo messo degli anni sono contento del risultato. Di aver fatto quello che sognavo di fare da tanto: usare il metodo dell’attore e poi raccontare io qualcosa direttamente, con la mia voce e senza imparare le battute».
IL BANDITO TADDEU
Ma nei ricordi di Lou Castel c’è anche la Sardegna. Nel 1968 viene scelto per “I protagonisti” di Marcello Fondato. La sceneggiatura, scritta anche da Ennio Flaiano, racconta una storia di banditismo con un personaggio ispirato a Mesina. «Marcello Fondato voleva che recitassi il personaggio di Jean Sorel, il turista milanese. Ma io ho voluto fare il bandito. Sceglievo sempre per opposti, dovevo avere questo tipo di carica per interpretare un ruolo. Di quell’esperienza in Sardegna ricordo che per costruire il personaggio avevo chiesto in strada di Mesina. E poi sul set, vicino a Tempio, una caduta tra le rocce. Mi slogai una caviglia».