di Francesco Nardini
Incontro con gli attori Pierfrancesco Favino e Carolina Crescentini al festival “La Valigia dell’attore” a La Maddalena. Sulle domande di Fabrizio Marotti e Boris Sollazzo, i due artisti parlano della loro esperienza artistica. «ll mestiere dell’attore – dice Favino – è difficile, spesso faticoso e complicato. La gente crede che noi navighiamo su un mare di soldi e ci divertiamo pure. Non è così. Quando fai una parte ti devi impegnare, devi diventare “il personaggio”, devi studiare, sentirti “lui”, non puoi distrarti, tu impersoni ossia diventi un’altra persona, e la cosa non è semplice. È uno sforzo intellettuale». Anche la scelta di fare l’attore è difficile: «Quando ho cominciato non ero pronta», ricorda la Crescentini: «Mi proposero di fare un film, a me che ero al secondo anno di scuola cinematografica, che avevo fatto un solo seminario, che mi ero iscritta solo per “capire” il cinema, non per farlo. Poi mi hanno sequestrata. Incominciò a piacermi il set, la compagnia, lo stare insieme, e ora il set è uno dei posti in cui mi sento bene». Al contrario Favino ha cominciato a sette anni. «Sì, potevo fare altrò, ma ho scelto di andare in accademia. Ho scelto, e mi hanno preso». A dispetto dell’opinione negativa del padre, «debbo dire che non solo ho fatto quella scelta, ma ho pure continuato. In Accademia, dodici ore al giorno di studio, ho capito che mi piaceva, mi interessava fare l’attore, che fosse bello. Ho stretto i denti e ho continuato». Fino a capire che «quello era un modo attraverso cui potevo essere compreso. Cosa che mi nasceva da qualche mia frustrazione, ma mi offriva possibilità di ricerca, di perfezionamento. Sì, credo che fondamentalmente fare l’attore sia soprattutto un’esperienza spirituale». Marotti rileva che fare l’attore «è un sacrificio sociale, dal soggetto si passa ad essere oggetto nella considerazione di altri». E Carolina Crescentini conferma che «vivere questa vita cambia la vita. Quando fai una scena di costume, ad esempio, ti senti un’altra, entri in un mondo diverso, ti muovi e addirittura cammini in un altro modo». È l’arte dell’interpretazione, quella che Favino ha insegnato ai ragazzi durante lo stage di formazione in questi cinque giorni.